I E R I  e  O G G I

Notizie di ieri, che hanno segnato una tappa significativa nella storia della scienza, della tecnologia e dell’ambiente, a confronto con gli sviluppi di oggi

 

LA CONTROVERSA EREDITA' DI CHERNOBYL / 1

 
Quasi 30 anni dopo l'incidente nucleare, in questa pagina e nelle successive sono pubblicati documenti e opinioni sulla persistenza della radioattività ambientale causata dal fallout radioattivo e sulle conseguenze sanitarie per la popolazione 

IERI

1986: QUANDO IN ITALIA CI RITROVAMMO CON DECINE DI MILIONI DI ISOTOPI DI IODIO RADIOATTIVO IN TIROIDE

(F.F.M.) Nella primavera del 1986, dopo fallout radioattivo di Chernoby e le polemiche sui divieti di vendita delle verdure a foglia larga e del latte, si pose l'interrogativo su quale fosse il livello di contaminazione medio di un italiano. Così decisi di sottopormi a un esame per misurare quanti atomi di Iodio 131 (l'isotopo radioattivo più abbondante del fallout) si erano accumulati nella mia tiroide. "Appena 37 milioni: una quantità irrilevante dal punto di vista sanitario", fu il verdetto. L'articolo in cui riferivo i risultati di questa singolare diagnosi fu pubblicato sulla prima pagina del Corriere della Sera del 13 maggio 1986.

 

Corriere della Sera, martedì 13 maggio 1986, pag. 1.

 

Un nostro redattore si è sottoposto al “Total body counter” che ha misurato le particelle radioattive assorbite

QUANTO IODIO HA IN CORPO UN ITALIANO DOPO CHERNOBIL

 

di Franco Foresta Martin

ROMA - Mi sono sottoposto al “Total body counter”, uno strumento in grado di misurare le particelle radioattive entrate nell’organismo durante la forzata esposizione alla nube di Chernobil. I risultati sono assolutamente tranquillizzanti dal punto di vista sanitario, assicurano gli specialisti: ho soltanto trentasette milioni di atomi di Iodio 131, tutti assiepati nella tiroide. Una quantità che può colpire l’immaginazione se presa in valore assoluto, ma che risulta decine di migliaia di volte inferiore a quella di un soggetto sottoposto, per esigenze diagnostiche, alla cosiddetta “scintigrafia tiroidea” (un esame che consiste nel somministrare nel sangue di un paziente un tracciante a base di iodio radioattivo).

Quanti isotopi di iodio 131 avrei se non fosse caduta nei cieli d’Italia la pioggia radioattiva? Zero, mi è stato risposto. E allora devo confessare che, a parte l’irrilevanza sanitaria della mia contaminazione, il fatto di portarmi dentro una manciata di atomi che avrebbero fatto bene a restare nel nocciolo della centrale di Chernobil mi provoca un certo fastidio. E ritengo che così la pensino tutti gli italiani i quali, chi più chi meno, si trovano nella mia stessa condizione.

I laboratori Enea della Casaccia, una trentina di chilometri a nord di Roma, dove ho passato l’esame, lavorano in questi giorni a pieno ritmo. Vengono fatti controlli su campioni di popolazione italiana e straniera per verificare i livelli di contaminazione radioattiva in varie circostanze ambientali. Prima di me sono stati analizzati un gruppo di turisti che si trovavano a Kiev al momento dell’incidente alla centrale e alcuni dipendenti di ambasciate dei Paesi dell’Est.

Per certi aspetti mi ritengo un campione rappresentativo di una larga fetta della popolazione italiana. Da quando la nube ha sfiorato il nostro Paese mi sono attenuto scrupolosamente alle precauzioni dettate da Zamberletti [ministro della Protezione Civile] e Degan [ministro della Sanità], ho evitato l’accumularsi di polvere sugli abiti e sulla pelle e le prolungate esposizioni all’aperto. In aggiunta ho adottato la dieta a base di iodio naturale (pesce soprattutto) consigliata da alcuni radio protezionisti.

Quasi tutti i radionuclidi che ho assimilato devono essere penetrati nel mio corpo non per ingestione, ma per inalazione. E dunque decido di entrare nella statistica ficcandomi sotto il grosso cilindro metallico che conta i radioisotopi.

Il “Total body counter”, come tutti gli apparecchi radiodiagnostici, mette un po’ di soggezione e di angoscia. E’ custodito in una “cella di conteggio” di circa tre metri cubi, impenetrabile alla radiazione naturale esterna. “La cella è fatta con blocchi di pietra calcarea a bassa radioattività, di 50 cm di spessore –ci spiega il dottor Gianfelice Clemente, il fisico dell’Enea che una ventina di anni fa ha diretto i lavori per la realizzazione di questo strumento–. In aggiunta è foderata con una lastra di ferro di 22 centimetri e una lastra di piombo di 3 millimetri. E siccome i ferri delle moderne fonderie sono tutti contaminati dai traccianti radioattivi impiegati per il controllo delle fusioni, queste lastre le abbiamo prese dalla vecchia corazzata “Andrea Doria” costruita nel 1916”.

Privo degli abiti e avvolto in una tuta asettica, steso in un lettino e immobile, mi ritrovo chiuso ermeticamente per circa 40 minuti nel cubicolo ovattato. Una musichetta allieta il mio soggiorno mentre i contatori di fotoni gamma inseriti nel cilindro che mi sovrasta captano le deboli emissioni prodotte da quello che ormai posso definire il mio patrimonio corporeo di radionuclidi. Se fossi assalito da un attacco di claustrofobia, come a qualcuno è accaduto, avrei la facoltà di premere un pulsante e ottenere l’interruzione dell’esame.

Al piano di sopra, nella sala di controllo, gli impulsi radioattivi, trasformati in segnali elettrici, vengono convertiti da un computer in forma grafica. Quando ho completato l’esame prendo visione della mia curva di radioattività gamma.

Chiedo di poter confrontare i miei livelli di contaminazione con quelli di altri soggetti analizzati prima e dopo Chernobil. I responsabili del laboratorio mi mettono a disposizione l’archivio: “Questa struttura di ricerca è una casa di vetro, i dati sono di pubblico dominio”, sottolineano. Così apprendo che, malgrado le mie precauzioni, sono un gradino più in alto dello zero di cesio e di iodio accertati su alcuni soggetti poco prima della nube di Chernobil; ma molti gradini più in basso rispetto a soggetti contaminati dal fall-out radioattivo delle esplosioni atomiche degli anni ’60 o a coloro che si trovavano nelle vicinanze della centrale sovietica due settimane fa.

Franco Foresta Martin

OGGI

SECONDO IL CRO DI AVIANO L'INCREMENTO DEI TUMORI IN ITALIA NON DIPENDEREBBE DALLA CONTAMINAZIONE DI CHERNOBYL

(F.F.M.) In Italia, nel periodo 1991-2005, l'incidenza dei tumori alla tiroide è decuplicata, con marcate differenze fra le diverse regioni, come risulta dai dati raccolti in 25 "Cancer Registries" locali. Poichè fra le principali cause di questa malattia la letteratura scientifica internazionale concordemente indica la diffusione nell'ambiente dell'isotopo Iodio 131, che si concentra preferenzialmente nella tiroide, era sembrato che l'incremento dei tumori tiroidei (in particolare quella del più diffuso carcinoma papillare) fosse attribuibile al fallout radioattivo cui è stato esposto il nostro Paese nel periodo successivo all'incidente di Chernobyl (maggio 1986).
Ma un recente studio, coordinato dal Centro di Riferimento Oncologico di Aviano (CRO) e pubblicato nel 2012 sulla rivista statunitense 'Thyroid' (vedi l'abstract del lavoro qui di seguito), esclude questa possibile correlazione, adducendo due principali motivazioni. Innanzitutto i tassi d'incidenza più bassi della malattia si riscontrano nelle regioni settentrionali che hanno subito un più massiccio fallout, mentre dovrebbe essere l'opposto; inoltre il picco dei casi si manifesta nelle fasce d'età medio alte, piuttosto che nei bambini, i quali sono i più sensibili agli effetti delle radiazioni ionizzanti.
"Come pubblicato da Nature nel 2011 -ha detto il coordinatore della ricerca dott. Luigino Dal Maso, in una dichiarazione resa all'Adnkronos IL 24 febbraio 2012- l'incidente di Chernobyl ha provocato un'esposizione di circa 0,3 milliSievert, pari a circa un decimo dell'esposizione naturale a radiazioni ionizzanti. Un'esposizione quindi che non può spiegare il diverso aumento dei tumori della tiroide nelle regioni italiane". Lo studio del CRO di Aviano conclude che l'incremento della malattia è dovuto alla maggiore attenzione diagnostica. (Di seguito l'abstract del lavoro pubblicato su 'Thyroid').
Richiesto di un commento, il prof. Alessandro Antonelli, endocrinologo del Dipartimento di medicina Interna dell'Università di Pisa, ci ha dichiarato che questo tipo di ricerche sono molto complesse, tanto più che in Italia manca un registro tumori nazionale. "I risultati di Lise e degli altri autori sono molto interessanti -ha detto Antonelli-, tuttavia, come riconosciuto dagli stessi autori, altri studi saranno necessari per meglio valutare la possibile associazione tra l'aumento dell'incidenza dei tumori tiroidei e le radiazioni".
 
 
 
 
M. Lise et al. *, Changes in the Incidence of Thyroid Cancer Between 1991 and 2005 in Italy: A Geographical Analysis, Thyroid, 22, 1, January 4, 2012
 

ABSTRACT

Background: The incidence of thyroid cancer (TC) has been increasing over the last 30 years in several countries, with some of the worldwide highest TC incidence rates (IRs) reported in Italy. The objectives of this study were to evaluate by histological subtypes the geographical heterogeneity of the incidence of TC in Italy and to analyze recent time trends for papillary thyroid carcinoma (PTC) in different cancer registries (CRs).

Methods: The study included cases of TC (<85 years of age) reported to 25 Italian CRs between 1991 and 2005. Age-standardized IRs were computed for all histological subtypes of TC according to CRs. Estimated annual percent change and joinpoint regression analysis were used for analysis of PTC.

Results: In women, IRs of PTC ranged between 3.5/100,000 in Latina and 8.5/100,000 in Sassari for the period 1991–1995 (a 2.4-fold difference) and between 7.3/100,000 in Alto Adige and 37.5/100,000 in Ferrara for 2001–2005 (a 5.1-fold difference). In men, IRs ranged between 0.7/100,000 in Latina and 3.4/100,000 in Sassari for the period 1991–1995 (a 4.9-fold difference) and between 2.0/100,000 (Alto Adige, Trento) and 10.6/100,000 in Ferrara for 2001–2005 (a 5.3-fold difference). In both sexes, IRs significantly higher than the pooled estimates emerged for the most recent period in the majority of CRs located within the Po River plain and in Latina, but they were lower in the Alpine belt. For women, CRs reported higher IRs than pool estimates showed, between 1991 to 2005, a significantly more marked annual percent change (+12%) than other CRs (+7%). For men the corresponding estimates were +11% and +8%.

Conclusions: The distribution of PTC does not lend support to a role of environmental radiation exposure due to the Chernobyl fallout, iodine deficiency, or (volcanic) soils. Between 1991 and 2005, wide geographic variations in the incidence of PTC and heterogeneous upward trends emerged, suggesting that the heterogeneity was a relatively recent phenomenon; this appeared to be mainly explained by variations, at a local level, in medical surveillance.

* Author information

M. Lise 1,2 S.Franceschi 2 C. Buzzoni 3 P. Zambon 4 F. Falcini 5 E. Crocetti 6 D. Serraino 7 F. Iachetta 8 R. Zanetti 9 M.Vercelli 10,11 S. Ferretti 12 F. La Rosa 13 A. Donato 14 V. De Lisi 15 L.Mangone 16 S. Busco 17 G. Tagliabue 18 M. Budroni 19 L. Bisanti 20 M. Fusco 21 R. M. Limina,22 R. Tumino 23 S. Piffer 24 A. Madeddu 25 F. Bellù 26 A. Giacomin 27 G. Candela 28 M. L. Anulli 29 and L. Dal Maso for AIRTUM Working Group 1.

1 Epidemiology and Biostatistics Unit, Aviano Cancer Center, IRCCS, Aviano, Italy.
2 International Agency for Research on Cancer, Lyon, France.
3 Banca dati AIRTUM at Cancer Prevention and Research Institute (ISPO), Florence, Italy.
4 Veneto Cancer Registry, Padua University, Padua, Italy.
5 Romagna Cancer Registry, Cancer Institute of Romagna (IRST), Meldola, Italy.
6 Tuscany Cancer Registry, Cancer Prevention and Research Istitute (ISPO), Florence, Italy.
7 Friuli Venezia Giulia Cancer Registry, Central Health Direction, Trieste, Italy.
8 Modena Cancer Registry, Department of Oncology, Hematology, and Respiratory Diseases, University of Modena and Reggio Emilia, Modena, Italy.
9 Piedmont Cancer Registry, City of Torino, S. Giovanni Battista—CPO Hospital, Oncology Prevention Center (CPO), Piedmont A.S.O. San Giovanni Battista Molinette, Torino, Italy.
10 Liguria Cancer Registry, Descriptive Epidemiology Unit, IRCCS A.O.U. San Martino—IST National Cancer Research Institute, Genoa, Italy.
11 Health Sciences Department, Genoa University, Genoa, Italy.
12 Ferrara Cancer Registry, Ferrara University, Ferrara, Italy.
13 Umbria Cancer Registry, Department of Medical and Surgical Specialties, and Public Health, Section of Public Health, Perugia University, Perugia, Italy.
14 Salerno Cancer Registry, Salerno, Italy.
15 Parma Province Cancer Registry, University Hospital Parma, Parma, Italy.
16 S.C. Statistics, Quality, and Clinical Studies, A.O. “Arcispedale S. Maria Nuova,” Reggio Emilia, Italy.
17 Latina Province Cancer Registry, Latina Health Authority, Latina, Italy.
18 Lombardia Cancer Registry, Varese Province, National Cancer Institute, Milan, Italy.
19 Cancer Registry of Sassari, Sassari, Italy.
20 Milan Cancer Registry, Milan Health Authority, Epidemiology Unit, Milan, Italy.
21 Campania Cancer Registry, Naples, Italy.
22 Cancer Registry of the Brescia Local Health Unit, Brescia, Italy.
23 Cancer Registry and Histopathology Unit, “Civile M.P. Arezzo” Hospital, ASP 7, Ragusa, Italy.
24 Trento Province Cancer Registry, Epidemiologic Unit, Trento, Italy.
25 Siracusa Cancer Registry, ASP of Siracusa, Siracusa, Italy.
26 Alto Adige/Sudtirol Cancer Registry, Bolzano, Italy.
27 Piedmont Cancer Registry, Biella Province-CPO, Biella, Italy.
28 Trapani Province Cancer Registry, ASP Trapani, Trapani, Italy.
29 Sondrio Cancer Registry, Local Health Agency, Sondrio, Italy.