L I B R I
F.FORESTA MARTIN, GEPPI CALCARA
PER UNA STORIA DELLA GEOFISICA ITALIANA
I CONTENUTI
Guglielmo Marconi, per la maggior parte della gente, è esclusivamente l’inventore della radio. Ma lo scienziato, Premio Nobel per la Fisica nel 1909, fu anche un eccellente organizzatore della ricerca scientifica. Mussolini ne era ben consapevole, tanto che nel 1927 gli affidò la presidenza del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) col compito di riorganizzare la scienza italiana e di trasformare l’ente in un efficiente organo tecnico al servizio del Regime.
Questo libro racconta la storia della lunga lotta che dovette ingaggiare Marconi per rilanciare la geofisica, che ai quei tempi era trascuratissima dai governi e dalle amministrazioni competenti, nonostante il succedersi di gravi emergenze con migliaia di morti (Casamicciola, Messina, Avezzano, ecc). Superando vari ostacoli, Marconi riuscì a fondare, nel 1936, un moderno Istituto nazionale di geofisica (ING) e ne affidò la direzione a uno scienziato affermato, Antonino Lo Surdo, il quale si circondò di giovani e brillanti ricercatori, molti dei quali provenienti dalle rinomate scuole di fisica di Roma e di Firenze, riuscendo così a dar vita, in pochi anni, a innovativi gruppi di ricerca in sismologia, elettricità atmosferica e terrestre, raggi cosmici, ionosfera, radioattività naturale, idrologia, oltre che alla prima rete di monitoraggio geofisico nazionale.
A questo punto, nel libro si innesta una seconda storia, quella dello stesso Lo Surdo che, pur avendo sfiorato il Nobel, subì una sorta di damnatio memoriae perché entrò in conflitto con Fermi, raccogliendo il biasimo suo e di alcuni dei suoi allievi che lo accusarono di eccesso di zelo nei confronti del fascismo.
Sullo sfondo degli anni drammatici del consenso al fascismo, delle leggi razziali, della guerra, della defascistizzazione e della ricostruzione, il libro illustra le storie, emblematiche e ancora attuali, dei difficili rapporti fra scienza e potere politico, delle rivalità e dei contrasti esistenti fra gli stessi scienziati; vicende, queste, che gli autori hanno ricostruito attraverso l'analisi di documenti inediti rintracciati all’Archivio Centrale dello Stato e all’Archivio Storico dell’ING e lo studio di pubblicazioni scientifiche dell'epoca.
GLI AUTORI
Franco Foresta Martin, giornalista scientifico e geologo, ha lavorato per oltre 30 anni al Corriere della Sera ed è autore di testi di divulgazione scientifica, molti dei quali scritti espressamente per gli studenti. Nel 2007 l’Unione Astronomica Internazionale ha dato il suo cognome a un pianetino che orbita fra Marte e Giove. Sul Corriere della Sera online (www.corriere.it) è titolare di una rubrica dedicata a Ambiente e Clima.
Geppi Calcara, laureata in Lingue e Letterature Straniere, con un diploma di specializzazione alla Scuola per Archivisti e Bibliotecari, ha curato il riordinamento dell’Archivio Storico dell’Istituto Nazionale di Geofisica (ING). Dal 2007 è all’Archivio Centrale dello Stato dove cura il riordinamento delle carte degli Istituti e dei Centri di Studio del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR).
ALTRE INFORMAZIONI SU QUESTO VOLUME NEL SITO DELL'EDITORE SPRINGER
F. FORESTA MARTIN, G. CALCARA, V. AILARA
USTICA S'INABISSERA' ?
Cronistoria della sequenza sismica del 1906 che causò l'abbandono dell'isola
I CONTENUTI
(da una recensione di Luisa De Paula pubblicata su Scienza in Rete il 16 novembre 2011)
Ustica, 18 Marzo 1906, è notte fonda. Gli isolani riposano dopo una giornata di preparativi e ferventi attese per la festa di San Giuseppe, che dovrà essere celebrata l’indomani. E quando la terra comincia a tremare, alcuni di loro non se ne accorgono. La prima scossa non riesce a destarli dal sonno; la seconda neppure. Ma all’arrivo della terza, più sensibile e violenta, l’intera popolazione si sveglia di soprassalto e, presa dal panico, si precipita in strada.
Inizia così la storia della sequenza sismica che si abbatté su Ustica ai primi del Novecento. Per venti giorni ancora, fino al 6 Aprile, scosse d'intensità fino al VI grado della scala Mercalli avrebbero provocato gravi sconvolgimenti e tanta paura, portando i più catastrofisti a preconizzare l'inabissamento e la scomparsa dell'isola e le autorità a decretare la sua evacuazione. Per fortuna il peggio non si verificò, e per ritornare alla loro amata terra, gli Usticesi fuggiti a Palermo non dovettero neppure attendere l’inizio della nuova stagione.
Poiché una tragedia soltanto sfiorata non fa storia, tutta l’angoscia di quei giorni, la querelle degli scienziati attorno al destino futuro dell’isola, la mobilitazione delle autorità locali e nazionali, i provvedimenti presi, avevano lasciato di sé soltanto una labile traccia.
Oggi, a più di cento anni di distanza, vediamo finalmente tessersi i fili della memoria in “Ustica s'inabisserà? Cronistoria della sequenza sismica del 1906 che causò l'abbandono dell'isola”, frutto della collaborazione tra Franco Foresta Martin un geologo che è anche giornalista scientifico, Geppi Calcara una ricercatrice in archivistica, e Vito Ailara un cultore di storia locale usticese.
Setacciando gli archivi, rovistando tra i giornali d'epoca, e riesumando da uffici, musei, istituzioni pubbliche e private ogni possibile traccia del terremoto, i tre autori sono riusciti a restituirci un frammento prezioso e per molti versi significativo di un passato che forse non è del tutto passato e che può perfino insegnarci qualcosa per il futuro. Sotto certi aspetti, infatti, la crisi sismica di Ustica è stata una cartina di tornasole per un modo tipicamente italiano di affrontare le emergenze: solerzia e attenzione delle autorità locali, ma inadeguatezza dello Stato di fronte al disagio dei terremotati. E, sopra tutto la generosa solidarietà della gente comune, la forza e il senso di dignità della popolazione colpita. Per certi aspetti, il terremoto di Ustica ha rappresentato un'anomalia positiva e un caso che sarebbe auspicabile imitare: esemplari restano per noi, oggi, la pronta reazione delle autorità locali e il consenso unanime di tutte le parti coinvolte per far prevalere la prevenzione e la tutela delle vite umane su qualsiasi altro interesse.
Tutto questo emerge con chiarezza nel libro di Foresta Martin, Calcara e Ailara. Il vorticoso ciclo di eventi che sconvolse la tranquilla vita degli Usticesi viene ricostruito fase per fase: dai primi allarmi, all'intervento dell'esercito e della marina; dall'esodo in massa a bordo dei piroscafi, al soggiorno degli sfollati a Palermo, fino al loro ritorno sull'isola e alla visita inaspettata del re Vittorio Emanuele III e della reale consorte. Un lavoro certosino di documentazione e di ricerca che riesce a restituirci un pezzo di storia e a farcelo rivivere, animato da note di colore e scene di carattere locale.
Rivivere è proprio la parola giusta. Rivive infatti la società usticese di un tempo, con le sue tradizioni e i suoi vincoli alla terra, la sua mentalità e il suo spirito solidale; e rivive anche l’atmosfera di quei giorni, carica di preoccupazioni e di attese, d’incertezza e di paura. Rivivono, soprattutto, i protagonisti del dramma, a cui vengono restituiti un volto e un nome: Luigi Martin, direttore della colonia dei 500 coatti allora residenti a Ustica, che, di fronte alla minaccia di possibili crolli, si assunse prontamente la responsabilità di lasciare aperte le porte dei cameroni in cui dormivano i confinati; Francesco De Seta, prefetto di Palermo, che, qualche ora dopo aver ricevuto l'allarme, aveva già messo in moto un'efficiente macchina di prevenzione; Nicolò Rienzi, il deputato che si batté per garantire un tetto e un tozzo di pane agli Usticesi poveri sfollati a Palermo.
Ma a rivivere sono anche personaggi come Onofrio Amoroso, che, profugo e senza un soldo in tasca, restituì un portafoglio pieno di monete d'oro che aveva trovato in strada per caso; e gli Usticesi che rifiutarono di fuggire perché non volevano abbandonare le loro case, il bestiame da accudire, i campi da coltivare. Solidali, in questo, con i confinati che, anche loro, avrebbero preferito correre il rischio di morire piuttosto che essere costretti a lasciare l'isola dove godevano di una certa libertà.
Sono anche protagonisti di questa storia i pescatori e i contadini che, ritratti in foto sbiadite dal tempo, incrociano le loro testimonianze con i dispacci telegrafici ufficiali e le cronache altisonanti della stampa d’epoca, a comporre un grande affresco corale, in cui s’intrecciano macrostoria e microstorie, parola ed immagine, rigore scientifico e brillantezza espositiva.
La fedeltà agli eventi, la ricostruzione accurata e puntigliosa che vuole essere innanzitutto una “cronistoria” non impedisce agli autori di realizzare un quadro di grande suggestione e di forte impatto narrativo, che non trascura particolari curiosi e note di costume. Leggendo e soffermandoci su fotografie, grafici, illustrazioni che tanto contribuiscono alla chiarezza e al fascino del libro, torniamo indietro nel tempo, in un mondo che in parte non esiste più, a quei giorni concitati in cui tanti erano i problemi, le emozioni, le decisioni da prendere. Ci sentiamo così catturare in una spirale di eventi che, se da un lato ha provocato tanto scompiglio, dall’altro ha portato con sé anche vicende esemplari, e perfino imprevedibili risvolti positivi: accendendo su Ustica i riflettori della scena internazionale, il terremoto è stato l’occasione per riscoprire il fascino e le tradizioni di una terra che ha sempre vissuto anche del suo isolamento.
Insomma, la cronistoria della sequenza sismica del 1906 c’insegna che un terremoto non è mai soltanto un fenomeno naturale, ma anche storico, culturale, sociale, economico, politico, e che deve essere studiato sotto ciascuno di questi profili, come suggerisce la storica Giovanna Fiume, autrice del bel saggio introduttivo al volume.
Di certo è quanto avviene in questo libro, che traduce l’impegno interdisciplinare in un racconto completo e avvincente, in cui è ricostruito con dovizia di particolari ogni aspetto della vicenda: dall’evoluzione del quadro economico-sociale nel corso dell’emergenza, alla gestione politica degli interventi; dalla reazione della gente comune, al dibattito scientifico sulle possibili cause del sisma e sull’evoluzione catastrofica che avrebbe potuto avere sull’isola. Un dibattito, questo sulla sismicità di Ustica, che, come apprendiamo dal capitolo conclusivo, non ha perso la sua attualità, ma che, nei suoi più recenti sviluppi, ci lascia ben sperare. I frequenti terremoti cui l’isola è soggetta, per la sua posizione in una zona di faglie, non dovrebbero costituire un reale pericolo per i suoi abitanti. Insomma, rassicuratevi: la piccola perla del Mediterraneo non è destinata a scomparire!